Trascrizione integrale del discorso del prof. Felix B. Lecce ai frequentatori per l'a.a. 2015-2016 del Master in Scienze Forensi di Sapienza Università di Roma
 

Mi chiamo Felix Lecce e sono nato in Germania in un giorno memorabile: sono nato il 14 luglio, nella ricorrenza della “presa della Bastiglia” il che potrebbe darvi qualche indizio su come sia giunto fin quì superando infinità di ostacoli di una vita particolarmente “in salita”.

In salita sin da quando, in giovanissima età, rimasi orfano con la sola eredità di due sorelle ed un fratello più piccoli di me ai quali provvedere non appena divenuto maggiorenne. Ma questa è un’altra storia. La mia, appunto.

Sono docente di comunicazione forense e di analisi comunicazionale forense in questo corso di specializzazione post-laurea di II livello, il Master di II livello in Scienze Forensi di Sapienza Università di Roma, da oltre un decennio. Mi occupo di comunicazione umana da circa un trentennio. Ho cominciato ad occuparmene per passione ed ho continuato a farlo con passione e per professione.

La “buona” comunicazione mi ha permesso di raggiungere mete di vita e professionali che sembravano a me precluse a priori, ragion per cui, se potessi permettermi di darvi un solo consiglio utile,  vi direi: prendetevi molto cura della vostra intera comunicazione, ancor più che soltanto delle  parole che dite o scrivete, la vostra vita ve ne sarà infinitamente grata! Fra un po’ capirete anche perché dico “della vostra intera comunicazione”.

È la passione per la comunicazione che mi ha spinto ad andare ben oltre la mera conoscenza ed il semplice utilizzo grammaticalmente corretto, sintatticamente accorto o strategico delle parole e mi ha permesso di scoprire che le persone, sebbene stiano attente ad ogni parola che diciamo loro, non fanno alcuna attenzione e non danno alcuna importanza a tutti gli altri aspetti della comunicazione che possono influenzarle profondamente e in maniera impercettibile: ciò che esprimiamo con il corpo e con la voce mentre parliamo. Oltre a tutto ciò che esprimiamo con il corpo mentre siamo in silenzio.

Ho scoperto che le persone possono non ascoltare chi parla, anche quando sono in silenzio.  

Ho scoperto che addirittura i più dotti conoscitori della lingua italiana ignorano un enorme quantità di cose sulla “magia”  delle parole. Per la precisione, ignorano molte cose sugli effetti delle parole, oltre a poche ma importanti cose sul loro significato percepito.

Vi farò tre esempi che mi permetteranno di rendervi meglio che cosa ho scoperto e, al contempo, di farvi vivere un’esperienza diretta della “magia” delle parole.

Il primo: fate caso a che cosa vi succede se leggete per due volte le seguenti: «Tu vuoi grattarti. Tu sei qui e, nonostante l’ambiente, ti stai concentrando su queste parole, continuando a leggere. E più cerchi di non pensarci, più noterai la sensazione crescente di volerti grattare. » E per aumentare l’intensità e la permanenza di quanto ti sta succedendo, potrei anche aggiungere: «E mentre sei lì, sentendo pruriti che iniziano a solleticarti in varie parti del corpo, noterai che questo mio modo particolare di usare le parole ha successo(participio passato del verbo “succedere”):  fa succedere qualcosa, dentro di te! ».

Il secondo esempio, preparatevi ad opporvi con tutta la vostra forza mentale a queste parole: «Non immaginare una fetta di limone, con il sapore pungente ed acido del suo succo che si spande sulla tua lingua. Ti suggerisco anche di non immaginare come lo spandersi del succo di limone farà salivare la tua bocca. Permettimi anche di suggerirti di non immaginare come il succo di limone ha un effetto sulla tua salivazione, in questo momento. Intanto che noti una tendenza alla salivazione, rifletti: ti avevo detto di opporti, che cosa ti è successo? È successo quello che succede nella testa di chiunque quando gli dici qualsiasi parola preceduta da un “non”. ».

Il terzo ed ultimo esempio: fate caso a che cosa pensate leggendo questa frase: «Non pensare ad un elefante fucsia a pallini gialli. », A che cosa avete pensato? Proprio a quell’elefante a cui vi avevo detto di non pensare. No?  Pensate ora a che cosa può venir in mente a qualcuno quando gli dite: «Non sto dicendo che tu…», «Non voglio dire che…». 

Questi tre esempi dimostrano in maniera, diciamo, sufficiente che comunicare è ben altra cosa che il mero scrivere o pronunciar parole. Comunicare efficacemente e da leader, in primis di sé stesso, significa, secondo me, esprimersi al momento giusto, nel posto giusto, con le parole giuste, nel modo più giusto e convincente possibile.

Una celeberrima ricerca svolta nel lontano anno 1967 dal ricercatore statunitense Albert Mehrabian dell’Università della California di Los Angeles, ha dimostrato ampiamente che ciò che comunichiamo in una normale interazione tra persone presenti è rappresentato nella misura del 7% circa dalle parole, del 38% circa da quanto espresso con la voce e nella misura del 55% circa da quanto espresso attraverso il corpo e che, di conseguenza, il 93% di quello che le persone comunicano:  1) non è rappresentato da parole; 2) sfugge in gran parte alla normale attenzione delle persone;  3)influenza gli interlocutori, spettatori o ascoltatori senza che se ne  accorgano; 4) è incontrollabile da parte di chi comunica, a meno che non si tratti di comunicatori particolarmente addestrati e formati!

Nonostante ciò e tante altre evidenze scientifiche, ancora oggi in Italia la maggior parte dell’istruzione scolastica e della formazione universitaria sulla comunicazione è incentrata su quel 7%. Soltanto o prevalentemente sulle parole.   

Giorni fa in Università mi è capitato di assistere dal vivo alla comunicazione di una vera persona di successo che padroneggia magistralmente proprio quel 93% della comunicazione umana, oltre che, ovviamente, le sue parole.  Che egli fosse una persona di successo, qualsiasi vero esperto di comunicazione avrebbe potuto capirlo sin dalle prime parole che ha pronunciato.  Sebbene io, da buon self-made man, mi stimi esageratamente tanto, non oserei mai parlarvi a tal proposito di me e men che mai, parlarne in terza persona. Mi ha colpito molto il suo discorso, nonostante io sia difficilmente impressionabile. Egli ha fatto un discorso sulla leadership e sull’essere leader, comunicando da vero leader: una armonia di rara naturalezza, impeccabile, elegante e convincente di parole, voce ed espressività corporea.  Armonia che certamente non può sfuggire ad occhi ed orecchie di vero esperto di comunicazione degno di tale qualificazione. E badate bene, quando dico “esperto” mi riferisco a colui che ha esperienza nel campo e non invece a chi invece possiede soltanto una buona conoscenza culturale o profonda erudizione in materia di comunicazione. Tanto per capirci meglio, ad esempio, un laureato in scienze della comunicazione, anche se molto ben istruito ed erudito in materia, non è automaticamente un esperto comunicatore.

Quindi veniamo alla mia materia. In estrema sintesi essa verte prevalentemente su quel 93% della comunicazione umana ignorato dalla maggior parte delle persone e che in ambito forense, quando sono gli altri a comunicare, vi può permettere di coglierne il “non detto” e tutte quelle “fughe di informazioni” che avvengono attraverso l’incontrollata espressività della voce e del corpo. Quando siete invece voi a comunicare, l’autocontrollo di quel 93 % vi può consentire di essere più persuasivi ed incisivi in ambito forense dei vostri colleghi e di avere, di conseguenza, maggiori e migliori possibilità di “vincere” convincendo gli altri, che siano essi giudici o “controparti”.

Lo dico da sempre: se fossero i computer ad amministrare la giustizia, tutto sarebbe più semplice. I computer, che sappia io, non hanno pregiudizi personali, sbalzi di umore, ideologie, simpatie, antipatie e molti altri limiti tipicamente umani. Ragion per cui, sarebbero con ogni probabilità più equi nel giudicare di noi esseri umani.

Care dottoresse e dottori, finché saranno gli uomini ad amministrare la giustizia, per quanto ci vogliamo illudere che possano essere davvero imparziali e non influenzabili, la percezione di quel 93% ci potrà permettere di coglier le loro incontrollate reazioni ed i loro pensieri “non detti” e al contempo, persuaderli soprattutto attraverso la strategica gestione di quella stessa percentuale non-verbale della nostra comunicazione.

In ambito forense, a parer mio, è inammissibile che si possa limitare a rivolgere la propria attenzione soltanto alle parole. Soprattutto quando sono gli altri a pronunciarle! Perché? Semplice, perché le parole sono quella parte di comunicazione umana che chiunque può facilmente asservire alla propria volontà. Ognuno di noi può dire parole che non pensa e pensare parole che non dice. Tutti possono farlo. Dal bambino all’adulto. Dall’analfabeta al più istruito.

È assurdo che ancora oggi si valuti l’attendibilità di un testimone soltanto sulla base delle parole che egli dice. Come ogni altra persona, egli ha il pieno controllo delle sue parole e può farne quindi ciò che vuole. Un bravo bugiardo o impostore ha il controllo soprattutto di come dice ed esprime qualsiasi assunto. Di solito i bugiardi convincenti dicono il falso comunicando come se stessero dicendo il vero. Cioè, parlano con la stessa espressività corporea e vocale che utilizzerebbero se dicessero il vero.  Gli attori non sono forse bugiardi ed  impostori molto credibili? Sapete perché sono credibili? Perché hanno soprattutto il controllo di quel 93% e lo modulano e lo gestiscono ad arte. È questo il motivo principale per cui ci commoviamo o ci emozioniamo a teatro o al cinema. Dimentichiamo che ci troviamo davanti a degli “impostori” di professione. Ci facciamo “sedurre” e coinvolgere dalla loro  espressività corporea e dalla loro voce, sebbene sappiamo(razionalmente) che essi stanno fingendo e mentendo, ovviamente, per esigenze di copione.

Credo di avervi anticipato abbastanza su quanto vi aspetta nelle mie lezioni. Saranno esperienze d’aula più che mere lezioni teoriche. Ah, dimenticavo di spiegarvi  perché sono così convinto che quello che vi insegnerò potrà esservi davvero utile professionalmente: perché, oltre ad averne ben studiato ogni teoria ed applicato ogni tecnica  in ambiti molto diversi tra loro, l’ho applicato prevalentemente in un campo assai critico dove la maggior parte degli errori comunicazionali sarebbero potuti costare la vita di molte persone, oltre che la mia. Li ho applicati in quasi trent’anni di mia vita operativa ed investigativa nella Polizia di Stato. Faccio il docente universitario da ben quindici anni, ma lo faccio più che altro per passione, sebbene molti benevolenti si ostinino a considerarmi addirittura un illustre studioso accademico di comunicazione, oltre che il caposcuola della comunicazione forense e della analisi comunicazionale forense in Italia.

Concludo la mia presentazione augurando a tutti voi di trovare, anche in questa occasione, utili spunti per stimolare e alimentare sempre più la vostra inclinazione a cercare il modo di farcela, ovunque e con chiunque, piuttosto che la deteriore tendenza a cercare scuse per arrendersi e per dare la colpa dei propri insuccessi ad altri e ad altro.

In bocca al lupo, buon lavoro e a presto!

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